Scultura
Il mio studio di pittrice – scultrice a Basilea si trovava nella zona industriale, al confine con la Germania; era in una dismessa fabbrica di tessuti, la Stucky Farberei, e insieme ad altri venti artisti, di varie nazionalità, avevamo preso in affitto tutto l’edificio e lo avevamo diviso in altrettanti studi d’artista. In questo luogo ho potuto lavorare e concepire i miei lavori in tranquillità e con la dovuta concentrazione: lo spazio era molto grande.
Al primo piano lo studio era molto luminoso, potevo dipingere; e al piano terra lo spazio, altrettanto grande, era a disposizione di chi ne avesse bisogno ed era attrezzato con vari macchinari e utensili per la scultura e il lavoro in metallo. Nei container delle fabbriche vicine potevo raccogliere gli sfrighi di ferro; i rimasugli buttati via dalle lavorazioni industriali, ho deciso così di lasciare il filo di rame dei miei primi lavori e la piccola saldatrice elettrica e passare al ferro e alla saldatrice a elettrodi. Trovavo il ferro un materiale molto interessante, sia per la sua duplice e intrinseca caratteristica di rigidità e flessibilità, ma anche perché mi dava l’affascinante possibilità di confrontarmi con il tempo.
La ruggine, come striature naturali e casuali del colore, manifesta infatti “fisicamente “ il passare del tempo. Lo spazio, il tempo e l’ambiente sono state e le coordinate concettuali con le quali, soggettivamente, attraverso il mio lavoro mi sono confrontata fin da quel periodo e tuttora mi confronto con essi, anche se con media diversi.
Adriana Amodei
Roma, Luglio 2004
In this place I was able to work and conceive my works in peace and with due concentration: the space was very large. On the first floor the studio was very bright, I could paint; and on the ground floor the space, equally large, was available to those who needed it and was equipped with various machinery and tools for sculpture and metalwork. In the containers of the nearby factories I could collect the iron sizzles; the leftovers thrown away by industrial processes, so I decided to leave the copper wire of my first jobs and the small electric welder and switch to the iron and electrode welder. I found iron a very interesting material, both for its dual and intrinsic characteristics of rigidity and flexibility, but also because it gave me the fascinating opportunity to confront myself with time. Rust, like natural and random streaks of color, physically manifests the passage of time “physically”. Space, time and the environment have been and the conceptual coordinates with which, subjectively, through my work I have confronted myself since that period and still compare myself with them, albeit with different media.